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Ma gli oratori non particolarmente abili nel parlare inglese si interrogano mai su come vengono percepiti da chi ascolta i loro discorsi in questa lingua franca anziché riceverli interpretati da un professionista? Si chiedono mai se sono efficaci a esprimersi in lingua inglese tanto quanto lo sarebbero nella propria madrelingua? O ancora: sono consapevoli del fatto di non esserlo, ma lo fanno lo stesso perché costretti da mode e politiche linguistiche inique? Oppure forse il modo di fare ''simpaticamente'' egocentrico e presuntuoso di alcuni di loro li induce a credere che si faranno comunque capire, incuranti dell’effetto che producono su chi li ascolta? Noi interpreti ce lo chiediamo spesso – o meglio, ci chiediamo spesso se i nostri cari oratori, che troppo spesso relazionano in inglese senza conoscerlo a sufficienza, queste domande se le pongano. È un dato di fatto che il mondo globalizzato ha portato a un uso sempre maggiore dell’inglese lingua franca (ELF, English as a Lingua Franca), con conseguenti difficoltà per gli interpreti che si trovano a tradurre parlanti non inglesi madrelingua che non padroneggiano bene la lingua di Shakespeare in termini di lessico, capacità di espressione, struttura della frase da non-native speaker e un associato maggior carico cognitivo per noi malcapitati che ci troviamo a interpretarli. Il legame fra il crescente utilizzo dell’ELF e l’interpretazione, in termini di aumento del carico cognitivo e di peggioramento delle condizioni di lavoro per gli interpreti, è stato oggetto di numerose ricerche da parte di eminenti studiosi, prima fra tutte Michaela Albl-Mikasa dell’Università ZHAW di Zurigo. Per un approfondimento sul tema, consigliamo la visione del discorso pronunciato dalla Prof.ssa Albl-Mikasa dal titolo The Imaginary Invalid. Interpreters in Times of English as a Lingua Franca presso il Centre for Translation della Hong Kong Baptist University a novembre 2022. 

E infine una citazione che ci pare particolarmente calzante in questo contesto:

''Le lingue sono come lo spazzolino da denti: ognuno dovrebbe mettersi in bocca soltanto il proprio. È una questione di igiene, di buona educazione.''

(cit. da ''L’interprete'', Diego Marani, Bompiani 2004)